L'opera
Scritto all´incirca nel 1910, insieme a Il nostro padrone, è considerato più come sforzo stilistico e narrativo che come frutto di vera e propria ispirazione. Il romanzo tuttavia rivela uno sfondo autobiografico e una certa tensione verso le vicende familiari e sociali come elemento universale per rilevare la natura umana. "Nel luglio del 1890 Gavina Sulis finì i suoi studi. Suo padre, ex-impresario di strade comunali, uomo abbastanza intelligente, le aveva fatto ripetere la quarta classe elementare, perché nella piccola città non v´erano altre scuole femminili. Il giorno degli esami ella se ne tornava a casa pensando che ormai erano finiti per lei i giorni di libertà e d´ozio. Aveva quasi quattordici anni; si credeva già una donna matura, e ricordava le parole del suo confessore: «Il Signore ha detto che la donna deve custodire la casa, fuggire l´ozio e le cattive compagnie». Riguardo alle «compagnie» ella sfuggiva non solo le cattive, ma anche le buone; e imitava appunto il suo confessore che andava sempre solo, a occhi bassi, rasente ai muri. Arrivata in fondo alla strada, ella si volse un momento e guardò l´antico monastero dov´erano le scuole, e la valle melanconica, coperta di olivastri e di peri selvatici, e sospirò."
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