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I giorni di Gigi Riva


25,00 € I giorni di Gigi Riva
ID Code 978-88-95692-48-7
Author/s Paolo Gabriele
Publisher Aipsa Edizioni
Edition 2012
Pages 272 (illustrated)
Size 20 x 26 cm
Bookbinding Stitched paperback binding
Series Fuori collana
Genre Sport, leisure
Format Paper
Release language Italian

The work

Una storia in un nome, Gigi Riva. Cento, mille volti e altrettante storie che accompagnano i giorni del mito di Rombo di Tuono, del ŽCagliari simpatiaŽ e della Nazionale più amata di sempre. Una storia raccontata da chi, tanti anni fa, lŽha ascoltata, letta, vista e vissuta con il cuore e con gli occhi di un ragazzino rapito da un giocatore-eroe. LŽinizio di questo libro è sulla punta di un esile dito indice, a far da pagina cŽè un vetro appannato: W Gigi Riva.  Un piccolo assaggio del libro: dal prologo  Come accade leggendo i libri di storia e nelle cose stesse della vita, non cŽè storia nella quale non sŽintrecciano altri fatti e altri profili... altre storie. Una di queste, lunga un istante e una vita intera, ebbe inizio in un giorno qualsiasi dellŽanno 1969, in una stanza, in una casa e in una città qualsiasi, negli occhi di un ragazzino, passato per caso davanti ad un televisore acceso sul cui schermo scorrevano le immagini di una partita di calcio. Maglie bianche contro maglie scure, tutti a correre dietro ad un pallone, tutto come sempre: una noia, e lui ancora una volta lì a chiedersi come mai al suo papà quello sport suscitasse tanto interesse e partecipazione. Ad un tratto, però, vide che tra quegli omini in calzoncini cŽera anche lui, il calciatore del momento, Gigi Riva. Incuriosito, volle per una volta fermarsi un poŽ di più a guardare. Così, adesso, quel nome tanto ricorrente aveva un volto, i cui tratti ricordavano quelli dellŽimmancabile protagonista di un film western, il pistolero senza macchia, né paura. Quella figura aveva di colpo acceso la sua fantasia. Era la scintilla di una passione appena agli inizi, ma destinata a crescere assieme a lui e a rimanergli accanto per molti giorni ancora.  Circa un anno più tardi, nellŽautunno del 1970, la famosa ala sinistra del Cagliari e della Nazionale subì un grave infortunio di gioco. Accadde a Vienna durante la gara Austria-Italia. Un pressoché sconosciuto giocatore austriaco balzò agli onori delle cronache di mezzo mondo per aver strapazzato una gamba a Gigi Riva. Ironia della sorte, proprio nellŽanno della sua completa consacrazione, lŽemblema del calcio italiano rischiò di interrompere per sempre la sua carriera.  Frattanto il carrozzone del calcio era andato avanti per non fermarsi nemmeno a ridosso del Natale. Si erano invece fermate, per la gioia dei più giovani, le lezioni scolastiche, e per questi, in un clima di spensierata vacanza e con libri e quaderni momentaneamente riposti in un angolo, iniziava a farsi sentire la più impaziente delle attese, lŽansia di sapere se e quale regalo, tra quelli più desiderati, sarebbe comparso sotto le lucine e gli addobbi dellŽalbero.  Il giovanissimo fan di Gigi, in quella mattina senza scuola, si era soffermato dietro ai vetri della solita finestra dalla quale cercava, e credeva, di vedere tutto quanto accadeva lui intorno. Poi, come altre volte, aveva approfittato di quel vetro appannato per farvi scivolare sopra il suo dito indice scrivendo il nome del suo idolo, preceduto dallŽimmancabile ŽWŽ. Fu allora che comprese che unŽaltra ansia, ben più grande, stringeva da giorni il suo cuore. LŽidea fu di condividerla e con chi se non con lui? Staccò due fogli dal quaderno a righe, afferrò la sua bic mezza morsicata, e prese a scrivere con insolita vena; un poŽ come fino a pochi anni prima, in periodi analoghi, aveva fatto per rivolgersi a... Babbo Natale o alla Befana. Ma quelle figure appartenevano a illusioni già perdute da qualche tempo, stavolta i suoi desideri avevano un reale destinatario e un indirizzo per nulla vago, scovato tra le pagine dellŽAlmanacco del Calcio Panini: la sede sociale del Cagliari e più precisamente il signor Luigi Riva. Sulla busta aggiunse - gli avevano detto si usava così - tre parole quasi magiche Žsue proprie maniŽ. E allŽinterno, vi mise la nostalgia dei suoi ricordi, gli elogi più sperticati e soprattutto una richiesta accorata: Torna presto! Ti aspetto. QuellŽattesa gli sembrava ancora più interminabile quando giungeva la domenica... Perché senza di ŽluiŽ, senza le sue prodezze, ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto o guardare La domenica sportiva non era più come prima.  Quella lettera in viaggio verso una città lontana lo fece sognare. Avendo scritto con cura e in chiaro stampatello il proprio indirizzo, prese a sperare di ricevere una risposta o, magari, di vedersi recapitare a casa la maglia numero undici della Nazionale oppure del Cagliari quale riconoscimento a tanta fedeltà e affetto. Ma forse il suo idolo neppure iniziò a leggere quei pensieri appassionati, o, probabilmente, smise di farlo subito dopo aver scorso le prime due righe che, di certo, erano tanto simili a quelle di mille altre lettere dŽaltrettanti ammiratori che ogni giorno, puntualmente, riceveva.  Qualche tempo dopo, Gigi Riva tornò a giocare così come il ragazzino tornò a sorridere e a emozionarsi ascoltando la radio o guardando la tele. Fa niente se il sogno, racchiuso in quella busta, di quelle magliette - una azzurra con lo scudetto tricolore e lŽaltra bianca con i bordi rossi e blu, il cordoncino nero che attraversa le asole del colletto e lo stemma dei quattro mori - sarebbe rimasto soltanto un sogno.  Quei giorni del Natale 1970, non furono certo gli ultimi a vedere le scene calcistiche private della presenza del protagonista più amato. La malasorte si sarebbe ancora e più volte accanita contro Riva costringendolo a smaltire lontano dai campi di gioco altri noiosi infortuni e lasciando che tutti i suoi fervidi sostenitori ne attendessero pazientemente il ritorno. Parentesi, queste, che il nostro campione vivrà sempre nel massimo riserbo e con la risaputa dignità, allo stesso modo con cui aveva protetto la sua immagine durante i tanti momenti di clamore che avevano accompagnato i suoi giorni migliori.  LŽalternarsi della buona e della cattiva sorte, troveranno un epilogo qualche anno dopo. Dal telegiornale giungerà la notizia del definitivo ritiro di Gigi Riva. Nessuna sorpresa, dal momento che era trascorso tanto tempo dallŽultima partita giocata da Gigi, e frattanto si era anche conclusa la parabola del leggendario Cagliari, ormai disceso in Serie B. Ciononostante, lŽimmagine del binomio Riva-Cagliari era destinata a non sbiadire. Perché se è vero che il ciclo della vita impone le sue leggi ancor più precocemente nello sport, dove coloro che invecchiano devono, ad un certo punto, lasciare il posto alle nuove generazioni, questo non ha valenza per chi è stato idolatrato dalle masse. Se poi lŽidolo in questione è chiamato Rombo di Tuono, il suo passaggio lascia una scia incancellabile, fatta dŽammirazione e rimpianto. Il tramonto del campione vero non è mai un tramonto qualunque e quando giunge non lo oscura ma ne rimarca ancor di più i contorni: diventa mito. E il culto del mito è un privilegio di chi ha mantenuto nei decenni la visione incantata del gioco preferito, il pallone. Proprio come quel ragazzino che scriveva col dito su di un vetro appannato.  Gigi Riva è un nome divenuto leggenda del Calcio italiano, il contrassegno di un pezzo di storia felice dello sport e del costume nazionale. La sua immagine epica e la personale interpretazione del proprio mito, del quale non fu mai prigioniero, sono state per decenni fonte dŽispirazione per la letteratura sportiva del nostro Paese. Resta ancora, attraverso il tempo e la memoria, il calciatore che più dŽogni altro ha incarnato lŽessenza stessa del gioco del calcio: il goal. Come lui, nessuno ha raccolto consensi, ammirazione e affetto, geograficamente tanto vasti tra il folto e appassionato, e fin troppo campanilista, popolo dei calciofili. È stato il campione di tutti, pur indossando, nella sua carriera, unicamente la maglia del Cagliari, oltre, ovviamente, quella della Nazionale di cui è divenuto lŽinarrivabile capocannoniere.  I ŽgiorniŽ di Gigi Riva, Rombo di Tuono accesero, mantenendola a lungo viva, lŽidea romantica e pulita della sfida a colpi di pallone. UnŽidea che ci racconta di quando la vittoria arrideva ancora al più meritevole; di quando la fantasia, il coraggio e il vigore atletico poteva confrontarsi e anche prevalere sulla ricchezza, il potere politico e la forza della tradizione; di quando le compagini calcistiche del nord, sorrette dalla grande industria, videro cessare - almeno per un poŽ - il loro dominio domenicale. Era accaduto che un giovane predestinato, sbarcando su unŽisola, a lui come a tanti sconosciuta, si era ripromesso di riscattare un passato di rinunce attraverso la sua nascente professione di calciatore. Quasi un parallelo con la Regione che lo stava accogliendo. Parafrasando il biblico racconto del ragazzo e del gigante, lŽatteso Davide era giunto per sconfiggere Golia: dal capoluogo sardo si sollevò un moto di rivoluzione verso il Continente, come a voler rovesciare il vecchio potere, da sempre abile a spartire nel proprio cerchio i successi e le glorie sportive e a non considerare che i percorsi storici, nella vita come nello sport, talvolta deviano più o meno repentinamente. LŽaristocrazia del pallone sŽinchinava a quella simpatica ventata di nuovo. Un evento tanto inaspettato quanto inconsciamente atteso da molti, destinato ad andare ben oltre il carattere sportivo sino a raggiungere le dimensioni di un fenomeno sociale.  Così, la rivoluzionaria vittoria dello scudetto da parte del Cagliari e i successivi fasti mondiali di ŽMexico 70Ž svelarono allŽItalia intera che il Calcio era, di diritto, parte integrante del costume nazionale: mai ci siamo sentiti così tanto fratelli dŽItalia come nella notte del 17 giugno 1970, al termine di Italia-Germania-quattro-a-tre, Žla partita del secoloŽ.  Sì, erano i giorni di Gigi Riva. Giorni con il pallone negli occhi e nella testa. Giorni di folle euforia, lŽultima immagine spensierata di unŽepoca breve e intensa, quella dellŽItalia anni Sessanta, la cui parabola felice si stava esaurendo. E lŽoccasione di un saluto festoso, ebbro e rumoroso, veniva da una partita di calcio, vibrante e incerta fino al suo epilogo, dove rassegnazione e speranza, gioia e delusione si alternavano con una meravigliosa crudeltà nei nostri cuori e in quelli dei sostenitori tedeschi. Poi i folli festeggiamenti di massa, le scene di giubilo di una nazione intera: il trionfo per i nostri colori; era lŽunione spontanea di un popolo che, compatto sotto il vecchio tricolore, si riversava, per la prima volta e per un motivo apparentemente futile, nelle strade e nelle piazze, da nord a sud del Paese.  Qualche settimana prima era stata la volta di una regione, antica e dimenticata, a emergere da un isolamento secolare, solo in parte giustificabile dalla sua posizione geografica. La Sardegna trovava nellŽaffermazione sportiva del Cagliari e nellŽesibizione del suo invidiato alfiere fermenti sconosciuti, sorprendentemente condivisi dal Continente, e il riscatto dal vieto luogo comune che la voleva affetta da un cattivo rapporto con la modernità e stretta, come in un masochistico legame, al suo problema più grande, il banditismo. I sardi, pur nella loro complessa realtà socio-geografica, non erano un tuttŽuno con faide, sequestri e omertà; allo stesso modo, difendevano la propria cultura e le proprie tradizioni dallŽinsorgere dellŽamerican style life in voga in quasi tutta la Penisola. Benché in ritardo, di questo lŽopinione pubblica aveva preso contezza grazie alla squadra del capoluogo, primatista anche in simpatia, le cui vittorie avevano rappresentato il migliore spot pubblicitario per la definitiva esplosione del turismo in quello spicchio dŽItalia contornato da spiagge paradisiache. UnŽinvasione pacifica che avrebbe svelato i contorni e il cuore di una terra difficile e affascinante, e di un popolo desideroso di smentire distanti pregiudizi che ne avevano condizionato il diritto allo sviluppo.

I giorni di Gigi Riva

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