L'opera
LŽassunto alla base di questo lavoro è che la sola lettura delle fonti documentarie edite rende inattendibile la loro interpretazione finché resta disancorata dal territorio cui si riferiscono. Quantificare lŽestensione territoriale dei possedimenti degli ordini monastici nel medioevo giudicale in Sardegna è stato fino a oggi ritenuto difficile per la non corretta idea dellŽassenza di catasti che consentano la legittimazione del dato proposto. È infatti fondamentale la distinzione tra interesse verso la rappresentazione cartografica del territorio dellŽautorità statale contemporanea, dettata da fini fiscali, e interesse verso la conoscenza della proprietà del territorio da parte delle entità politiche di antico regime. Il metodo descrittivo medievale era perfettamente funzionale al bisogno di chi ne faceva ricorso, in quanto la toponomastica confinaria era redatta con parole apprese e/o coniate dai ferrei conoscitori dei luoghi. Gli eventuali arbitri di controversie territoriali si rivolgevano sempre a queste persone per avere risposte certe sullŽeffettiva posizione sul terreno dei confini delle proprietà. Il lavoro ha raggiunto lŽobiettivo di attestare che i confini dei territori comunali, così come li conosciamo oggi, siano nati solo in seguito alla implosione e disgregazione della Curatoria, avvenuta nel periodo compreso tra la contrapposizione militare e politica con la Corona dŽAragona dellŽultimo quarto del XIV secolo e lŽincorporazione del Marchesato di Oristano nel demanio regio aragonese nellŽultimo quarto del XV secolo. In questo lasso di tempo le comunità di villaggio si avvantaggiarono della implosione e disgregazione della Curatoria per espandere il più possibile i confini della giurisdizione della loro superficie territoriale.
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